La sessualità secondo Lou Andreas Salomé

Penso che un elemento centrale nei suoi scritti di critica letteraria, nei racconti e in modo specifico nei saggi psicoanalitici sia l’importanza che Salomé attribuisce alla sessualità nella formazione del soggetto.

L’importanza della sessualità è anche ciò che la avvicina a Freud. Salomé è stata una donna molto libera nella costruzione del suo pensiero: ha frequentato Freud ma anche Jung e Adler per capire ciò che la interessava. Si è discostata ben presto da Adler poco convinta della sua teoria sulla protesta virile ma ha continuato a confrontarsi con la teoria junghiana. Tuttavia la sua scelta analitica non poteva essere Jung poiché quest’ultimo riteneva che la libido non fosse una pulsione sessuale ma una pulsione generale, indistinta e che la sessualità infantile non fosse così determinante nella costituzione del soggetto. Occorre specificare che la sessualità per Salomé è fin da sempre un’esperienza completa, corporea e spirituale. Probabilmente l’approdo alla psicoanalisi è ciò che le ha permesso di sviluppare delle idee che aveva già maturato ma avevano bisogno di un’investigazione più precisa.

Si apre un interrogativo: cosa intende Salomé per sessualità?

Accenniamo per il momento a due aspetti: la sessualità non è scindibile dal rapporto amoroso, cioè dall’incontro con l’altro, ed è fonte di conoscenza. Vorrei restituire la voce a Salomé con una citazione dal suo saggio Il tipo donna, l’amore, inscindibile dalla sessualità è:

“… Riuscire ad afferrare il senso del vissuto nel modo più spirituale là dove, coperto corporeamente, resta più inesplicabile psichicamente, e così divenire più sicuri della propria unità fondamentale là dove essa maggiormente vacilla (pag. 73).

Il Bacio, Gustav Klimt, 1907-1908

Una frase non facile da intendere che cercheremo di sviluppare nel corso della nostra esplorazione.

Un elemento in particolare secondo L.A. Salomé contraddistingue la sessualità femminile: il sentirsi parte del tutto. Se ci pensiamo, percepirsi parte del tutto può essere un grande elemento di disturbo: far parte di un tutto indistinto crea angoscia. Ed è proprio quello che è capitato a me leggendo le prime volte Salomé. Il tutto mi disturbava e per questo ho deciso di occuparmene.

Lei riprende la questione della sessualità femminile nel saggio già citato intitolato Il tipo donna. Nella parte iniziale – che vi invito a leggere – attraversando dei ricordi infantili, traccia la distinzione tra oggetti inalienabili e oggetti alienabili ossia divisibili. Cosa sono questi oggetti? È sempre difficile dire in psicoanalisi cosa si intende per oggetto perché è sia l’altro, l’altra persona in quanto “oggetto d’amore”, sia una parte di sé che si ritiene perduta, che diventa in primo luogo un oggetto di ricerca. Ma allora l’oggetto è dentro o fuori di me? Lo ritrovo nell’altra persona o tramite l’altra persona?

Intanto sentiamo cosa dice Salomé a proposito degli oggetti:

Devo cominciare, del tutto personalmente, con il dire che il mio primissimo ricordo riguarda dei bottoni. Stavo seduta su un tappeto a fiori, davanti a una cassetta marrone aperta, dove, quando ero stata molto buona o la mia vecchia governante non aveva tempo per me, potevo rovistare tra bottoni di vetro, d’osso, variopinti, dalle forme fantastiche. La cassetta dei bottoni si chiamava la cassetta delle meraviglie, dapprima in senso ingenuo, più tardi ironicamente; e all’inizio rappresentò davvero per me il miracoloso, poi – forse perché mi insegnarono le parole relative – ammirai nei bottoni altrettanti zaffiri, rubini, smeraldi, diamanti e altre pietre preziose, per cui la parola russa per «gioielli», «jemtschug», conserva per me ancora oggi un suono stranamente ricco di memorie. I gioielli-bottoni restarono per lungo tempo la quintessenza di ciò che, considerato prezioso, non viene dato via ma raccolto (ed effettivamente i bottoni di moda allora, piuttosto costosi, venivano conservati dopo che il vestito si era consumato). A me pare che questa rappresentazione dei bottoni come pezzi preziosissimi debba aver avuto presa in me collegandosi immediatamente prima con un’altra ancora più originaria per la quale essi significavano parti inalienabili, in un certo senso frammenti di mia madre stessa (del suo vestito, cioè, con i cui bottoni potevo giocherellare standole in grembo), o forse della balia (a me affezionata) al cui petto, dietro l’abito aperto, conobbi nella pratica il primo bottone” (Il tipo donna pag. 55-56).

Le tre età della donna (dettaglio), Gustav Klimt, 1905

I capezzoli della balia si sono trasformati nei bottoni del vestito materno, si può pensare a causa dell’attenzione del bambino che passa dal capezzolo alla rotondità del bottone slacciato per liberare il seno. I bottoni da accessorio d’abbigliamento sono diventati elemento simbolico, che cioè rappresenta qualcos’altro: i capezzoli della balia, dai quali la lattante trae nutrimento e piacere – ecco la sessualità –, la soddisfazione della sazietà, il piacere puro del contatto e del gioco.

Se teniamo conto del fatto che il bambino e la bambina nei primi momenti della loro vita suppongono che tutto ciò che è buono e procura piacere fa parte di se stessi e non della persona che li accudisce, intendiamo perché Salomé parli dei bottoni come rappresentazioni di “parti inalienabili” di sé ma anche: “frammenti di mia madre stessa […] o forse della balia”.

Proseguendo nella sua narrazione ella cita una fiaba che narra di qualcuno che per liberare una regina da un incantesimo si addentra in una montagna incantata. Lì incontra tutti i “segni”, dice, delle pietre preziose – zaffiri, rubini, diamanti ecc.. Quando nel suo primo viaggio all’estero, da bambina, in Svizzera, sentì i genitori chiamare una montagna “Jung frau”, in tedesco “vergine”, non si meravigliò affatto. Vergine. Potremmo dire integra; potrebbe significare: avere in sé tutti i propri beni più preziosi, inalienabili. D’altra parte, seguendo Freud, quei beni non ci sono mai appartenuti, sono arrivati dall’altro e il tempo ce li ha soffiati. Ciò che persiste allora è la traccia che quei momenti preziosi, di contatto con l’altro, hanno lasciato sul nostro corpo come impronte inalienabili. Serge Leclaire le avrebbe chiamate, più tardi, lettere, scritte sul corpo, le quali formano parole e frasi che raccontano la storia del godimento e del desiderio in un soggetto, donna o uomo che sia.

L’integrità, ossia il tenere per sé le proprie parti preziose, o immaginariamente fare tutt’uno con la madre, è una fantasia. Il non staccarsi dall’oggetto, le parti di sé, da un lato genera un senso di onnipotenza – che non corrisponde alla realtà – dall’altra imprigiona l’individuo, come la regina imprigionata all’interno della montagna incantata, che non può muoversi. Affinché la regina sia libera e possa godere in effetti dei suoi beni, cioè metterli a frutto e quindi alienarli, occorre che qualcuno la liberi, la porti fuori dal mondo incantato dei primi momenti di godimento.

Così Salomé narra un secondo ricordo infantile che tratta di un altro suo interesse: quello per le monete. Verso gli otto anni riceveva una paghetta, del denaro spicciolo con il quale poteva comprarsi delle cose. Un giorno passeggiando con il padre incontrò un mendicante. Lou voleva dargli la “moneta luccicante” della sua paghetta, una moneta d’argento da venti copechi. Cito dal testo: “Ma mio padre disse: «La metà basta» – avrei così dovuto imparare a ripartire il denaro –, e con molta serietà cambiò la mia moneta con due d’argento da dieci copechi, cosicché anche il mendicante ricevette argento e non rame”. Un grande insegnamento: il denaro, ricevuto questa volta dal padre, era qualcosa da dividere con gli altri: all’altro spettava la metà, che non doveva apparire ed essere più misera di quella trattenuta per sé.

In questo secondo ricordo – prendiamolo come ce lo propone Salomé: una metafora – interviene la funzione paterna che è quella di dividere, separare il bambino e la bambina dal tutto del godimento materno. Il padre separa e quindi costringe ad un altro tipo di relazione con la madre, non più adesiva ma simbolica. Metà resta propria e metà la si deve lasciare all’altro, dal quale altro attendiamo che il nostro bene originario, intero, ritorni. È quello che accade negli intenti dell’amore: investiamo l’altro dell’amore riservato a noi stessi, ci priviamo di una parte del nostro narcisismo, ma ci aspettiamo che l’altro ci ami a sua volta, restituendoci decuplicato l’amore che gli doniamo, e che solo a condizione che ci ritorni dall’altro ci fa sentire felici. E siccome siamo esseri parlanti domandiamo: domandiamo amore, come i bambini con il loro grido di fame chiedono nutrimento alla madre, un nutrimento che va al di là del cibo. L’altro ci limita e nello stesso tempo ci permette di domandare, e se siamo fortunati non risponde alle nostre domande, ma le ascolta, ci ascolta.

La separazione dalla nutrice – la perdita dei primi godimenti – e la conseguente necessità di domandarefanno sì che i suoi capezzoli trovino rappresentanza, allorquando si impara a parlare, nelle parole: nel caso di Salomé in “bottoni”, “montagna” di “pietre preziose”. Con le parole cerchiamo, domandiamo. Parole insufficienti a nominare, a ripristinare l’antico godimento, tanto è vero che ce ne vuole una cassetta che poi diventa una montagna. La cassetta dei bottoni è una cassetta di parole destinata ad arricchirsi nel tempo, nel tentativo di toccare, ancora, la sensazione di “far parte del tutto” – che percepiamo quando tocchiamo la nostra verità.

Occorre tener ben presente che quel tutto è potuto diventare un tesoro perché è stato perduto. Esso è accessibile solo tramite la cassetta delle parole e degli altri mezzi linguistici (arte), che ciascuno costruisce e può mettere in gioco, e far sì che il proprio lavoro diventi creativo, per ritrovare le radici di ciò che dà vita, rigenera nello scambio con altri.

Il tutto che Salomé propone nella sua elaborazione come un tratto femminile, diventa una metafora aperta a molteplici sensi e non solo alle donne. Esso è la possibilità di stare assieme di elementi che tendiamo a contrapporre, ad esempio: la “riconciliazione e unione del domestico e del selvatico”; il bene e il male (di cui la donna è ritenuta colpevole sin dai tempi di Adamo ed Eva); ma anche maschile e femminile. È anche la ri-unione, nell’esperienza sessuale, tra il corpo e ciò che lo contraddistingue spiritualmente, ma soprattutto è l’infantile, il solo capace di produrre prodigi, come afferma in Figure di donne. E sicuramente è molto altro.

L’apporto originale di Salomé è di aver considerato il godimento incestuoso, godimento del tutto, da un altro punto di vista rispetto a Freud, il quale mette l’accento più sul divieto e quindi sulla necessità della legge. Il tutto è quella parte infantile, infans, che non parla ancora, fonte di ricchezza e di vera realizzazione soggettiva a condizione però, e qui ci ricongiungiamo a Freud, che ci venga a mancare, che da esso ci separiamo, poiché la mancanza è la condizione del desiderio e della seduzione.

La seduzione proviene dai misteriosi tesori evocati dalla cassetta dei bottoni. Salomé mostra con il suo lavoro intellettuale e il suo stile di vita, che per realizzarsi – che è anche conoscersi – occorre attingere alla cassetta dei bottoni, cioè alla nostra riserva di parole. Questo significa anche affrontare l’angoscia, che compare quando siamo vicini al desiderio inconscio, ed è possibile solo attraverso la relazione con altri, con cui parlare, scambiare, crescere, formarsi. Lou è fondamentalmente una donna che si è lasciata sedurre e ha cercato nella relazione con gli altri le risposte ai suoi interrogativi: ha avuto il coraggio di domandare. Forse è questa sua parvenza di donna sedotta ad aver sedotto coloro che la incontravano.

Colazione sull’erba, Édouard Manet, 1863

Salomé mette al centro dell’esperienza umana la sessualità intesa come pratica di parola e non solo come congiungimento fisico – pensiamo al godimento che può esserci in una vera conversazione. In questo senso l’amore è la possibilità di conoscersi, riavvicinarsi a sé nella propria interezza somatica e psichica attraverso l’amato, nonostante la differenza irriducibile dell’altro. Forse adesso ci torna più chiara la citazione letta all’inizio:

“… Riuscire ad afferrare il senso del vissuto nel modo più spirituale là dove, coperto corporeamente, resta più inesplicabile psichicamente, e così divenire più sicuri della propria unità fondamentale là dove essa maggiormente vacilla”.

Giusto per un attimo, prima di tornare ad essere due e separati.

Scritto in occasione del ciclo di incontri intitolato “Interroghiamo Lou Andreas Salomé” organizzato dall’associazione Giardino Freudiano, 2017. Riportate alcune modifiche per l’attuale pubblicazione.

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