Nella casa

“Essere presente ovunque e visibile da nessuna parte! Non scriversi. Soprattutto non scriversi” urlava Flaubert a Maxime Du Camp.
Dialogo di Fabrice Luchini con François Ozon

“Tu vedi tutti e nessuno ti vede” (l’alunno seduto all’ultimo banco).
Fabrice Luchini che interpreta il prof. Germain

Nella casa è un film scritto e diretto da François Ozon liberamente tratto dalla piece teatrale El chico de la ultima fila di Juan Mayorga. Il professor Germain Germain, insegnante di letteratura francese, è annoiato e deluso del suo lavoro: i suoi studenti studiano poco e malvolentieri.

Un giorno però le cose cambiano. Un suo studente, Claude Garcia, gli porta da leggere un tema che narra del suo fine settimana trascorso con un compagno di classe, Rapha Artole, molto timido e privo di amici. La narrazione, calma e dettagliata, fa entrare l’insegnante nella casa di Rapha, ne coglie l’atmosfera, svela alcuni tratti psicologici dei suoi abitanti. Il tema viene concluso con un “Continua” al quale è impossibile sottrarsi. Il professor Germain, che in gioventù aveva avuto delle velleità letterarie, resta attratto dalla scrittura di Claude e comincia ad aiutare il suo allievo per affinare la sua penna.

Inizialmente sono solo suggerimenti riguardanti la scrittura: come attrarre e mantenere il “desiderio” del lettore, la sua curiosità e attenzione. In seguito però il professore diventa complice dell’allievo in alcune azioni, non proprio legali, eseguite per creare una maggiore tensione nella realtà della casa da cui Claude Garcia possa trarre ispirazione.

Quello di François Ozon è un film che ci attrae come un buon libro e ci tiene incatenati allo schermo con la sua leggerezza. Tuttavia alla fine ci chiediamo dove ha voluto condurci attraverso le sue vicissitudini e soprattutto dove Claude Garcia ha voluto portare i personaggi del suo romanzo, che si svolge tra esterno e interno, tra realtà e narrazione. Una cosa innanzitutto colpisce: lo sguardo nella casa d’altri.

Secondo Freud la casa, nei sogni, allude al corpo del sognatore. Curiosamente il film inizia con le scene dell’edificio scolastico, una scuola molto moderna che fa da contrappunto all’idea (poco) “innovativa” del preside di reintrodurre l’uniforme come simbolo di uguaglianza laddove vi è una moltitudine di studenti provenente da nazionalità, religioni, usi e costumi differenti. La scena di Claude Garcia, che ancora non conosciamo, mentre veste il suo corpo misto (i calzini sui piedi da bambino e il corpo da giovane) irrompe fugacemente nel discorso del preside ormai concluso. La scena successiva è quella di centinaia di ragazzi, volti, capelli, femminili, maschili: corpi resi uniformi dal vestito istituzionale.

Il vestito non è ciò che copre il corpo, tenderebbe piuttosto a metterlo in evidenza, a mettere in evidenza la differenza tra le persone. Solitamente siamo inclini a farci un’idea della persona che abbiamo davanti a partire dal suo vestito, dal modo in cui si abbiglia nell’insieme di altri elementi: trucco, se si truca, capelli, vestiti. La moda sfrutta al massimo la potenza della caratterizzazione dell’individuo a partire da come si abbiglia. Il vestito è come una scrittura, una scrittura sul corpo che ne traccia la singolarità.

Da una parte il corpo è lo spazio in cui si dispiega l’intimo, dall’altra con il vestito si tenta di scrivere e tradurre ciò che resta indicibile di sé nell’incontro con la propria intimità. Lo scrittore fa la stessa cosa? Perché Claude Garcia, scrittore in formazione, è ossessionato dall’idea di entrare nella casa d’altri per poter scrivere? Cosa va a cercare? Egli dice di cercare la famiglia normale ma…

Partiamo da Shahrazād citata dal professore: il sultano le chiede ogni sera il racconto di una storia e se la storia non gli piace le farà tagliare la testa. La stessa cosa fa il lettore quando legge una storia! Shahrazād ha la capacità di mantenere vivo il desiderio del sultano che tende a spegnersi alle prime luci dell’alba dopo una sola notte d’amore! In fondo non è quello che pensano in molti, che il desiderio è difficile da mantenere vivo? Nell’intimo della casa non c’è forse il combattimento occulto del proprio desiderio, che spesso langue (la mamma di Rapha), per trovare la propria strada, deviata dalla presenza e dalle esigenze di altri? Vi è anche il desiderio nascente dei figli che trovano nei genitori dei punti di identificazione, dei fari alla luce dei quali tentare di avviare il proprio percorso (relazione padre-figlio Rapha Artole e di Claude con il prof. Germain). Ci sono gli stimoli (Ho bisogno di stimoli!) di cui ha bisogno Rapha padre nel lavoro per sentirsi vivo, in fase di realizzazione.

Il desiderio di sapere cosa accade ad altri, nella casa di altri, nella vita degli altri suscita la curiosità del lettore e dello scrittore perché nella casa degli altri c’è desiderio, nascosto, misconosciuto, trascurato, immobilizzato, perverso, in fugaci momenti riconosciuto, ma è sempre all’opera nella vita di tutti. Lo scritto, la storia scritta, l’opera artistica diventa allora la veste che copre e svela ad un tempo l’intimità multiforme del desiderio che Ozon ci restituisce in maniera lieve ma mettendo in evidenza la sua forza devastante: il professore perde tutto ma non perde il desiderio che … continua.

(“Continua” è la conclusione di ogni episodio scritto nei temi di Claude Garcia).

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