La nascita del linguaggio nei bambini

Didier Anzieu in un saggio raccolto in Psicoanalisi e linguaggio. Dal corpo alla parola parla della nascita del linguaggio nei bambini. Anzieu comincia il suo discorso prendendo in considerazione la teoria di Piaget sulla formazione del simbolo nel bambino. I bambini prima di acquisire la funzione linguistica propriamente detta che comporta la simbolizzazione, acquisiscono una funzione semiotica che consiste nell’emettere e ricevere significati e nel rispondere ad essi – la semiotica riguarda il significato delle parole. Intendiamo subito che per Piaget la comunicazione non è la stessa cosa del linguaggio simbolico, quest’ultimo infatti comprende due aspetti della parola: il significante, cioè l’insieme di lettere che la compongono, e il significato della stessa.

Come si svolge l’acquisizione della funzione semiotica? In un primo tempo il bambino e l’adulto si imitano attraverso il gioco dei gesti. Operazione molto bella perché in azione sono due soggetti: l’adulto imitando il bambino ne riconosce la soggettività. Questo gioco imitativo dei segni si chiama ecoprassia e in esso troviamo quella sostanziale esperienza denominata identificazione che Lacan indica come: “la trasformazione prodotta nel soggetto quando assume un’immagine”. Evidentemente l’immagine in movimento e partecipativa dell’adulto al quale il bambino si identifica.

In seguito questa imitazione gestuale si prolunga:

  • nei giochi di imitazione vocale;
  • nei giochi di simulazione dove il bambino imita se stesso.

Nei giochi di simulazione il bambino imita se stesso ma in presenza di un adulto. Rappresenta delle situazioni come mettersi a dormire, svegliarsi, mangiare che ha imparato imitando l’adulto e che gli sono abituali, sono diventati i suoi gesti. La cosa che colpisce è che l’altro, l’adulto, viene chiamato ad essere testimone. Abbiamo qui la parata del proprio corpo e della sua efficacia ma il bambino ha bisogno dello sguardo dell’altro, del suo segno di convalida per potersi affermare. Per Lacan sono per l’appunto le parole da parte del caregiver a convalidare le esperienze del bambino mentre lo accompagnano.

I giochi vocalipermettono al bambino di isolarsi”, dice Anzieu e “di dominare i fenomeni significanti della lingua naturale parlata dall’ambiente” (pag. 5). Si tratta di giochi solitari, che non vengono fatti in presenza dell’altro adulto e che ci ricordano il gioco del rocchetto di cui parla Freud. L’osservazione di Piaget sull’isolarsi è interessante: il bambino può stare da solo. Potremmo aggiungere che occorre che la madre vada via, che ci sia una separazione nella realtà, per quanto dolorosa, affinché il bambino cominci a simbolizzare la separazione e quindi a dominarla. Il nipotino di Freud aveva un rocchetto legato a un lungo filo. Quando la mamma lo lasciava solo, lanciava il rocchetto lontano da sé emettendo un o-o-o forte e prolungato (interpretato da sua mamma come un “fort”: “via”), accompagnato da un’espressione di interesse e grande soddisfazione; poi lo ritraeva a sé e quando riaveva il rocchetto in mano emetteva un “da” che significa “qui”. Il bambino, mentre con i suoi vocalizzi si esercita a imparare la lingua, tenta di dominare la precoce e ineluttabile esperienza di vita che è la separazione e perdita di una parte di sé (la madre) ed entra nella struttura del linguaggio simbolico che presuppone che l’oggetto (in quel momento la madre) non sia sempre presente. Moustapha Safouan parla di “carattere transitorio della presenza della madre”, a volte c’è e poi non c’è più, per ricomparire in seguito. Questo permette al bambino di integrare la permanenza dell’oggetto e anche il funzionamento del linguaggio che presuppone di poter evocare tramite il significante un oggetto non presente.

Solo nel terzo passaggio per Piaget possiamo parlare di simbolizzazione: quando il bambino accompagna l’attività di simulazione con un commento verbale, come avviene nella «striscia a fumetti». In questo momento si stabilisce la continuità di significato del gesto corporeo con il significante linguistico.

Nella tappa successiva il bambino comincia a collegare i vocaboli secondo le leggi della semantica e della grammatica (intorno ai due anni) e la cosa importante è che accompagna sempre meno le sue parole con i gesti corporei. Il linguaggio del corpo interviene solo per dare peso alle affermazioni o alle richieste. Mentre abbandona la mimica espressiva il bambino si sgancia sempre più: “… dalla relazione di somiglianza o di continuità tra il simbolizzante e il simbolizzato”, tra il significante e l’oggetto a cui si riferisce. Ci allontaniamo dalla striscia a fumetti per entrare nella dimensione linguistica che ci propone Ferdinand De Saussure: il significante e il significato sono in una relazione arbitraria e convenzionale.

Annie Anzieu, da parte sua, sostiene che per imparare a parlare è importante aver imparato a camminare. Camminare, per il bambino, comporta la possibilità di potersi separare spazialmente dalla madre, esperienza che prima aveva subito in maniera passiva e con un grande vissuto di impotenza. Parlare significa anche comunicare a distanza, ma la distanza, come l’assenza, non deve essere troppo ampia e cioè il bambino deve avere la percezione che la madre non sia persa del tutto e con lei lui stesso. Aggiunge Didier Anzieu che: “Il simbolo come possibile presenza di un essere o di un oggetto assente concretizza mentalmente questa distanza” (p. 9).

Per concludere: un accenno alla scrittura e alle sue origini corporee. Didier Anzieu afferma che anche nel linguaggio adulto la parola si pone su due livelli: quello prelinguistico dell’espressione corporea e quello linguistico della lingua come codice. “La scrittura – dice – invece sbarazza ulteriormente il significato dalle sue origini corporee”. Il tracciato grafico conserva ancora “alcuni tratti della soggettività di chi scrive”, ma quando si passa ad ausili meccanici, macchina da scrivere e computer, questa relazione svanisce. Allora cosa resta del corpo? Anzieu dice: “Sarà allora lo stile a permettere al carattere dell’autore e alla sua immagine del corpo di deporre la loro traccia nel testo”.

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